Articolo 21

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. [...]

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Libertà d’espressione e diritto all’informazione

I fondamenti filosofici

  • Aristotele, Politica, L. VIII, 1 1337 a (? 340 a.C)

    Non si può adunque dubitare che il legislatore debba mostrare la massima sollecitudine per l'educazione dei giovani. Poiché, se questa nelle città verrà trascurata, la loro costituzione ne verrà danneggiata. È necessario infatti adattare l'educazione al concetto informatore di ciascuna costituzione. Poiché questo avveduto adattamento suole conservare la costituzione o addirittura improntarla, per es. l’indirizzo democratico della gioventù suole conservare la democrazia, l’oligarchico l’oligarchia. Insomma con una migliore educazione politica si avvantaggia sempre la costituzione. Oltracciò tutte le attività e arti richiedono una propedeutica e una disposizione creata dall’abitudine per tutte le operazioni ad esse relativa, onde per naturale conseguenza questo principio vale anche per la pratica della virtù. E, poiché uno solo è il fine dell’intero consorzio politico, è manifesta la necessità che l’educazione sia una sola e identica per tutti e che la cura di essa sia affidata allo stato e non ai privati, come accade ora in cui ciascuno si prende cura privatamente dei suoi figli e ad essi impartisce l’insegnamento che crede. È di pubblico interesse invece che l’esercizio delle diverse attività sia subordinato all’interesse collettivo. Nello stesso tempo non bisogna credere che ogni cittadino sia assoluto padrone di sé (autòn autoû), ma invece che tutti appartengano alla città, essendo ciascuno parte della città; poiché la cura di ciascuna parte è subordinata alla cura della totalità. […] È pertanto manifesto che l’azione legislativa si debba applicare all’educazione e che questa si debba impartire in comune.

  • John Milton, Areopagitica. Discorso per la libertà di stampa (1644)

    Guardate, ora, questa vasta città, magione della libertà, circondata dalla divina protezione. Guardate, e vedrete che le incudini e i martelli che lavorano giorno e notte nei suoi arsenali a battere armi e armature, onde la Giustizia armata possa difendere l’assediata Verità, non sono più numerosi delle penne e delle menti che lì, al lume della loro assidua lucerna, meditano e indagano, volgendo e rivolgendo le nuove idee ed i nuovi concetti che s’apprestano a offrire, come loro fedele omaggio, alla veniente Riforma; – non più numerosi dei molti altri che s’adoperano a leggere e a provare ogni cosa, lasciandosi guidare dalla forza convincente della ragione. [...] Dove vivo è il desiderio d’apprendere, lì molto sarà, necessariamente, il discutere, molto lo scrivere, molte le opinioni; perché l’opinione, negli uomini buoni, non è altro che la conoscenza stessa che si vien formando. [...]
    Prima di ogni altra libertà, datemi la libertà di conoscere, di esprimermi e discutere liberamente secondo coscienza.

  • B. Spinoza, Tractatus theologico-politicus (1670)

    Capitolo XX: Si dimostra che in una libera Repubblica è lecito a chiunque di pensare quello che vuole e di dire quello che pensa.
    Se fosse altrettanto facile comandare alla coscienza quanto alla lingua, ognuno regnerebbe in piena sicurezza e nessun governo degenererebbe nella violenza, perché ognuno vivrebbe secondo le intenzioni dei governanti e soltanto in conformità alle loro prescrizioni giudicherebbe del vero e del falso, del bene e del male, dell'equo e dell'iniquo. Ma questo non può avvenire, essendo impossibile che la coscienza soggiaccia assolutamente all'altrui diritto. Nessuno, infatti, può, né può essere costretto a trasferire ad altri il proprio naturale diritto, e cioè la propria facoltà di ragionare liberamente e di esprimere il proprio giudizio intorno a qualunque cosa. Ne viene di conseguenza che si giudica violento quel potere che si esercita sulle coscienze, e che la suprema maestà fa violenza ai sudditi e sembra usurparne il loro diritto quando pretenda di prescrivere a ciascuno che cosa debba accettare come vero e che cosa respingere come falso [...]. Se, dunque, nessuno può rinunciare alla propria libertà di giudicare e di pensare quello che vuole, ma ciascuno è, per diritto imprescrittibile della natura, padrone dei suoi pensieri, ne segue che in un ordinamento politico non è mai possibile, se non con tentativi destinati a fallire miseramente, voler imporre a uomini di diverse, anzi contrarie opinioni l'obbligo di parlare esclusivamente in conformità alle prescrizioni emanate dal sommo potere. [...] Il vero fine dello Stato è, dunque, la libertà. [...] A dimostrare, d'altra parte, come da questa libertà non derivino inconvenienti tali che non possano essere eliminati dalla sola autorità della somma potestà, e come da questa gli uomini, sebbene professino opinioni palesemente contrarie, siano facilmente trattenuti dal ledersi a vicenda non mancano gli esempi. E non ho bisogno di andare troppo lontano per trovarli. Ne offre uno la città di Amsterdam, la quale sta sperimentando, con suo grande vantaggio e con l'ammirazione di tutte le nazioni, i frutti di questa libertà. In questa floridissima Repubblica e nobilissima città, infatti, convivono in perfetta concordia uomini di tutte le nazionalità e di tutte le religioni [...]. Onde risulta più chiaro della luce del sole come [...] i veri perturbatori dell’ordine pubblico siano coloro che in una libera Repubblica pretendono di sopprimere quella libertà di pensiero che non può essere repressa.

  • Gaetano Filangieri, Scienza della legislazione (1780)

    Vi è un tribunale, che esiste in ciascheduna nazione, che è invisibile, e che è più forte dei magistrati e delle leggi, de’ ministri e dei re [...]. Questo tribunale, io dico, è quello della pubblica opinione. [...] Ma questo tribunale non ha né foro, né tribuna, non vi sono comizi: in qual modo verrà dunque avvertito de’ disegni di un ministro iniquo o dell’abuso di autorità di un magistrato?
    La libertà della stampa è questo mezzo: il legislatore non deve dunque trascurarla; deve stabilirla e proteggerla. L’interesse pubblico lo richiede; la durata della sua legislazione e la perennità della sorte del popolo l’esigono.
    Vi è un diritto comune ad ogni individuo di ogni società, che è quello di manifestare alla società stessa le proprie idee [...]. La libertà, dunque, della stampa è di sua natura fondata sopra un dritto che non si può né perdere né alienare finché si appartiene ad una società, che è superiore e anteriore a tutte le leggi, perché dipende da quella che le abbraccia tutte e tutte le precede. [...]

  • Honoré Gabriel de Mirabeau, Discorso agli Stati generali (1788)

    Che la prima delle vostre leggi consacri per sempre la libertà di stampa, la libertà più inviolabile, la più illimitata, la libertà senza la quale le altre non saranno giammai conquistate, perché è per essa sola che i popoli e i Re possono conoscere il loro diritto di ottenerle, il loro interesse ad accordarle; che infine il vostro esempio imprima il marchio del pubblico disprezzo sulla fronte dell'ignorante che temerà gli abusi di questa libertà

  • Kant, Sopra il detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale nella prassi (1793)

    Deve spettare ai cittadini dello stato, e con l’approvazione del medesimo signore supremo, la facoltà di rendere pubblicamente nota la loro opinione su ciò che nelle disposizioni di quel supremo potere appaia un’ingiustizia contro il corpo comune. Presupporre infatti che il capo non possa mai errare o essere inesperto di qualcosa significherebbe rappresentarselo benedetto da doni celesti ed elevato al di sopra dell’umanità. Dunque la libertà della penna – mantenuta nei limiti del massimo rispetto e amore per la costituzione nella quale si vive attraverso l’atteggiamento del pensiero liberale dei sudditi, che quella stessa libertà esorta ancora in tal senso (e perciò le penne si limitano reciprocamente da sole, in modo da non perdere la loro libertà) è l’unico palladio dei diritti del popolo.

  • Alexis de Tocqueville, La democrazia in America (1835)

    La stampa esercita [...] un immenso potere in America. Essa fa circolare la vita politica in tutte le zone di questo vasto territorio. Con il suo occhio sempre aperto mette incessantemente a nudo i segreti moventi della politica e costringe gli uomini politici a comparire, di volta in volta, davanti al tribunale dell’opinione. Essa riunisce gli interessi attorno a certe dottrine e formula il simbolo dei partiti; attraverso di essa i partiti si parlano senza vedersi, si intendono senza venire a contatto. Quando un grande numero di organi della stampa giunge a procedere nella medesima direzione, la loro influenza diviene alla lunga quasi irresistibile e l’opinione pubblica, colpita sempre dallo stesso lato, finisce per cedere sotto i loro colpi.
    (A. de Tocqueville, La democrazia in America, Torino 2007, Libro I, p. 223).

  • Alexis de Tocqueville, Come l’amore dei beni materiali si collega presso gli americani all’amore della libertà e a alla cura dei pubblici affari (1835)

    Nei secoli democratici il potere assoluto non è per sua natura crudele o selvaggio, ma è minuzioso e assillante. Un dispotismo di questa specie, benché non calpesti l’umanità, è direttamente opposto allo spirito commerciale e alle tendenze dell’industria. Perciò gli uomini dei tempi democratici hanno bisogno di essere liberi per potersi procurare più facilmente i beni materiali che desiderano tanto ardentemente. Tuttavia accade qualche volta che l’amore eccessivo che essi provano per questi beni li metta nelle mani del primo padrone che si presenta; allora, la passione del benessere si volge contro se stessa e allontana da sé, senza accorgersene, l’oggetto dei suoi desideri.

    Vi è effettivamente nella vita dei popoli democratici un trapasso molto pericoloso. Quando presso uno di questi popoli l’amore dei beni materiali si sviluppa più rapidamente della civiltà e delle abitudini della libertà, viene il momento in cui gli uomini sono trascinati e quasi stravolti dalla vista di nuovi beni che stanno per afferrare. Preoccupati solo dalla cura di fare fortuna, non vedono più lo stretto legame che unisce la fortuna particolare di ciascuno alla prosperità di tutti; allora non occorre strappare a tali cittadini diritti che posseggono, poiché essi stessi se li lasciano volentieri sfuggire. L’esercizio dei doveri politici sembra loro un noioso contrattempo che li distrae dal lavoro. Sia che si tratti di scegliere dei rappresentanti o di prestare man forte all’autorità o di discutere insieme le cose comuni, il tempo manca loro ed essi non possono perderlo in lavori inutili. Considerano, tutti questi, giochi da oziosi, che non convengono a uomini gravi, preoccupati negli interessi seri della vita. Questi uomini credono di sentire la dottrina dell’interesse, ma se ne fanno un’idea molto grossolana e, per meglio curare quelli che chiamano i propri affari, trascurano l’interesse principale che è quello di restare padroni di se stessi.

    Poiché i cittadini che lavorano non vogliono più pensare ai pubblici affari, e non esiste più una classe che assuma questo incarico per occupare il tempo disponibile, il posto del governo è vuoto. Se in questo momento critico un individuo ambizioso e abile riuscirà a impadronirsi del potere, troverà aperta la via a tutte le usurpazioni.

    (A. de Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli p. 533, 534).

  • Alexis de Tocqueville, Quale specie di dispotismo devono temere le nazioni democratiche (1835)

    Credo, dunque, che la forma d’oppressione da cui sono minacciati i popoli democratici non rassomiglierà a quelle che l’hanno preceduta nel mondo; i nostri contemporanei non ne potranno trovare l’immagine nei loro ricordi. Invano, anch’io cerco un’espressione che riproduca e contenga esattamente l’idea che me ne sono fatto, poiché le antiche parole dispotismo e tirannide non le convengono affatto. La cosa è nuova, bisogna tentare di definirla poiché non è possibile indicarla con un nome.

    Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini uguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, e quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli anche gli resta una famiglia, si può dire che non ha più patria.

    Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo s’incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come quella, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia; ama che i cittadini si divertano, che non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole essere l’unico agente regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide la loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere?

    (A. de Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli p. 732, 733).

  • John Stuart Mill, Sulla libertà (1859)

    È da sperare che sia trascorsa l'epoca in cui era necessario difendere la "libertà di stampa" come una delle garanzie contro un governo corrotto o tirannico. Possiamo supporre che non sia più necessario dimostrare che non si può consentire a una legislatura o a un esecutivo, i cui interessi non si identifichino con quelli dei cittadini, di imporre loro delle opinioni e di stabilire quali dottrine o argomentazioni essi possano ascoltare. [...]
    Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione, non avrebbero più diritto di far tacere quell'unico individuo di quanto ne avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l'umanità. Se l'opinione fosse un bene privato, privo di valore eccetto che per il suo proprietario, se essere ostacolati nel suo godimento fosse semplicemente un danno privato, il numero delle persone che lo subiscono farebbe una certa differenza. Ma impedire l'espressione di un'opinione è un crimine particolare, perché significa derubare la razza umana, i posteri altrettanto che i vivi, coloro che dall'opinione dissentono ancor più di chi la condivide: se l'opinione è giusta, sono privati dell'opportunità di passare dall'errore alla verità; se è sbagliata, perdono un beneficio quasi altrettanto grande, la percezione più chiara e viva della verità, fatta risaltare dal contrasto con l'errore.